L’amanuense di Cesena

L’amanuense di Cesena

poesia

Claudicante il passo del vecchio amanuense – rintocco di strada è nell’aria –
del pensiero arenato su alacri mani d’oro, è memoria – sospiri trattenuti…

Oggi è il tremore ad agire. Lo ascolto. Lo osservo. Lo maledico! Lo abiuro.
Dolci memorie rispondono al richiamo di tenebre antiche – malevoli sussurri…
Celata in segmenti, parabole e segni era Conoscenza – dogma ed eresia –
e io l’amavo; qualunque fosse l’amavo. E la odiavo – misero tormento.
Di fine pergamena il suo profumo inebriava queste mura – anelito –
E chino su di te mia musa, lo fui sempre – muto servitore accorto –
arco di sostegno nel tuo esistere e traccia di speranza nella storia.
Porpora e cobalto da sfere di cristallo a vestire la tua pelle – eri così bella –
e fiorivi dall’argento nei miei occhi
e ai miei occhi era prodigio.

[A te ho votato la mia vita – consacrato iridi cerulee, dove ora è l’ombra –
a te ho donato queste mani, allora sì calde e ferme – agili e zelanti –
il mio sonno, il mio cibo, il mio tempo. A te, tutto me stesso… E l’anima.
Conobbi un Dio privo d’orizzonte – superbo commediante al soldo –
nel bieco silenzio dell’ignoranza obbedii a buie imposizioni – accadde –
avvinto dall’oscurità camminai vie non mie – presenziai a sentenze inique.
Nel tuo nome era un fuoco purificatore a illuminare le mie notti insonni.
S’intimava penitenza – castigo e condanna senza appello (negata verità).
Tra le righe t’incontrai – fosti luce, conforto e rinacqui nell’intimo mio risveglio.
Il Dio cadde. Fu deposto. Non ebbi più rimpianti – non più colpe da espiare…
È qui dentro. Tutto quanto. Nel mio cuore – troppe le candele consumate –
ed è ancora il sorriso della vita a rischiarare gli aridi solchi sul mio volto
e qualche lacrima di spontaneo disincanto a dissetarli…]

Tabernacolo d’eternità sono – vite senza tralci – ora – vetusto simulacro –
astratto scrigno di preziosi immateriali  – denigrata eredità ammuffita.
Ecco il testamento, l’ultimo mio scritto, l’ultimo mio sogno – saperti onnipresente.
Presto partirò – su dissipate ceneri poseranno questi passi – vestirò di bianco.
D’immacolata pergamena e novelle ampolle colorate mi si farà omaggio – Umiltà.
Nel tuo essere, gemmerà la prossima mia vita – l’infinita –
e chino su di te, mia musa, lo sarò anche allora – devozione.
Porpora e cobalto da sfere di cristallo vestiranno le tue grazie
e fiorirai dall’argento nei miei occhi
e ai miei occhi sarà prodigio… Ancora… Per sempre… Ovunque.

Claudicante il passo del vecchio amanuense – rintocco di strada è nell’aria…
Boccioli di rose carminio si schiudono al sole… Ed è stupore a inverno inoltrato.

Prodigio.


[Dedicata a Francesco di Bartolomeo da Figline frate nel convento di San Francesco di Cesena dal 1439 al 1472. Copiò il primo codice datato 1452 della biblioteca di Malatesta Novello di cui, dal 1450, fu anche cappellano.]


Testo: Copyright © 2003 Francesco Barazza. Tutti i diritti riservati. È severamente vietata la riproduzione, divulgazione e stampa della presente opera, in toto o in parte, senza l’autorizzazione dell’autore.

Fotografia: Copyright © 2013 Burdizo. Tutti i diritti riservati. È severamente vietata la riproduzione, divulgazione e stampa della presente opera, in toto o in parte, senza l’autorizzazione dell’autore.

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